Storia della medicina: il primo trapianto

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Il nostro corpo è un sofisticato sistema di equilibri tra tutte le parti, l’idea di poter intervenire sostituendone alcune sembrava semplicemente impossibile da realizzare. Poi accade una curiosa coincidenza e l’impossibile divenne realtà. 

Il primo trapianto di rene sperimentale venne eseguito nel 1902 dal chirurgo austriaco Ullman su un cane. L’organo venne alloggiato nel collo dell’animale, e l’arteria e la vena renali furono anastomizzate (collegate) rispettivamente con l’arteria cartone e la vena giugulare. 

Nel 1950 Huffnagell, Landsteiner e Hume realizzarono un trapianto di rene su una donna uremica (stadio terminale dell’insufficienza renale), collegandolo ai vasi del braccio; l’organo iniziò immediatamente a produrre urina e dopo due giorni fu rimosso, una volta che i reni nativi ebbero ripreso a funzionare. 

Ma nei trapianti d’organo, dopo aver risolto il problema del collegamento tra i vasi sanguigni, il rischio principale che rimaneva da risolvere era quello del rigetto, ossia evitare che l’organismo del ricevente potesse aggredire il nuovo organo, trattandolo come se fosse un corpo estraneo. 

Dopo molti fallimenti, si stava per abbandonare l’idea dei trapianti quando, nel dicembre del 1954 al Brigham and Women’s Hospital di Boston, si presentò un ragazzo con una grave insufficienza renale. Il ragazzo aveva un gemello identico, ed esperimento precedenti avevano mostrato una certa compatibilità immunitaria fra metri della stesa famiglia. 
Il chirurgo statunitense Joseph Murray, vista la grave disfunzione renale del giovane 23enne, tentò il trapianto di rene sui due fratelli. Grazie all’intervento il fratello poté vivere per altri 8 anni.
Successivamente, Murray si specializzò nel campo della chirurgia plastica, e negli anni ’60, scoprì diversi farmaci anti-rigetto come l’azatioprina divenendo uno dei principali specialisti di biologia dei trapianti. Nel 1990 gli venne assegnato il premio Nobel per la Medicina