Uno studio italiano ha scoperto la causa dell’Alzheimer

225
Tempo di lettura: 3 minuti

Lo studio, pubblicato su Nature Communications, sostiene che a causare il morbo sarebbe la morte dei neuroni che formano l’area tegmentale ventrale, una delle principali zone del cervello in cui viene prodotta la dopamina e controllato l’umore. 

Non è nell’ippocampo, la struttura del sistema nervoso centrale primariamente coinvolta nelle funzioni della memoria, che va cercato il responsabile del morbo di Alzheimer: all’origine della malattia ci sarebbe, invece, la morte dell’area del cervello che produce la dopamina, un neurotrasmettitore essenziale per alcuni importanti meccanismi di comunicazione tra i neuroni. È la sorprendente scoperta compiuta da un’équipe di ricercatori coordinati da Marcello D’Amelio, responsabile dell’Unità di Ricerca di Neuroscienze Molecolari UCBM, in collaborazione con la Fondazione IRCCS Santa Lucia e il CNR di Roma.

L’origine della patologia, che solo in Italia colpisce mezzo milione di persone oltre i 60 anni di età, non avrebbe a che fare quindi con l’ippocampo, la struttura del sistema nervoso centrale coinvolta nelle funzioni della memoria e su cui i ricercatori si sono focalizzati negli ultimi 20 anni. Finora, infatti, mai nessuno aveva pensato che potessero essere coinvolte altre aree del cervello nell’insorgenza della patologia, nonostante le analisi sperimentali, non avessero mai fatto registrare all’interno dell’ippocampo significativi processi di morte cellulare.

Niente dopamina? Niente memoria

Dunque cosa causa la perdita di memoria? I ricercatori si sono resi conto che – come in un effetto domino – la morte delle cellule cerebrali deputate alla produzione di dopamina nell’area tegmentale ventrale provoca il mancato arrivo di questa sostanza nell’ippocampo, causandone il “tilt” che genera la perdita di memoria.

Già nelle primissime fasi della malattia, la morte progressiva dei neuroni si verifica quindi nell’area tegmentale ventrale e non nell’ippocampo. 

Un’ulteriore conferma della scoperta è stata possibile somministrando in laboratorio, su modelli animali, due diverse terapie: una con L-DOPA, un amminoacido precursore della dopamina; l’altra basata su un farmaco che ne inibisce la degradazione. In entrambi i casi, dopo aver iniettato il rimedio si è registrato il recupero completo della memoria, in tempi relativamente rapidi.

Una seconda importante scoperta: se il buon umore cala è colpa della dopamina

Nel corso dei test, gli scienziati hanno registrato – accanto al miglioramento delle funzionalità mnesiche – anche il pieno ripristino della facoltà motivazionale e della vitalità. Si tratta questa di una seconda, importante, scoperta. «Abbiamo verificato – chiarisce D’Amelio – che l’area tegmentale ventrale rilascia la dopamina anche nel nucleo accumbens, l’area che controlla la gratificazione e i disturbi dell’umore, garantendone il buon funzionamento. Per cui, con la degenerazione dei neuroni che producono dopamina, aumenta anche il rischio di andare incontro a progressiva perdita di iniziativa, indice di un’alterazione patologica dell’umore».

Questi risultati confermano le osservazioni cliniche secondo cui, fin dalle primissime fasi di sviluppo dell’Alzheimer, accanto agli episodi di perdita di memoria i pazienti riferiscono un calo nell’interesse per le attività della vita, mancanza di appetito e del desiderio di prendersi cura di sé, fino ad arrivare alla depressione.

Dunque i cambiamenti nel tono dell’umore non sarebbero – come si credeva fino ad oggi – una conseguenza della comparsa dell’Alzheimer, ma potrebbero rappresentare piuttosto una sorta di “campanello d’allarme” dietro il quale si nasconde l’inizio subdolo della patologia. «Perdita di memoria e depressione – sottolinea D’Amelio – sono due facce della stessa medaglia».

Alzheimer e Parkinson: obiettivo comune per la cura

Le prospettive che questo studio schiude sono molteplici. «Il prossimo passo – spiega D’Amelio – dovrà essere la messa a punto di tecniche neuro-radiologiche più efficaci, in grado di farci accedere ai segreti custoditi nell’area tegmentale ventrale, per scoprirne i meccanismi di funzionamento e degenerazione. Inoltre, i risultati ottenuti suggeriscono di non sottovalutare i fenomeni depressivi nella diagnosi di Alzheimer, perché potrebbero andare di pari passo con la perdita della memoria. Infine, poiché anche il Parkinson è causato dalla morte dei neuroni che producono la dopamina, è possibile immaginare che le strategie terapeutiche future per entrambe le malattie potranno concentrarsi su un obiettivo comune: impedire in modo “selettivo” la morte di questi neuroni».

Pur essendo ancora lontana la validazione di una cura efficace per l’Alzheimer, i risultati della ricerca condotta dall’Unità di Ricerca di Neuroscienze Molecolari UCBM e dagli altri partner scientifici aggiungono un tassello decisivo nella comprensione dei meccanismi da cui prende avvio questo temibile morbo. Accorciando, si spera, i tempi che separano la Scienza dal giorno in cui sarà finalmente possibile fermare l’Alzheimer. 

Fonte:

Dopamine neuronal loss contributes to memory and reward dysfunction in a model of Alzheimer’s disease. Nature Communications 8, 14727 (2017).

Unità di Ricerca di Neuroscienze Molecolari UCBM

Fondazione IRCCS Santa Lucia

CNR di Roma

Credit foto: Unità di Ricerca di Neuroscienze Molecolari UCBM