Dietro le quinte di un popolare talk show, poco prima della diretta, arriva tutto trafelato un noto virologo che fa conoscenza con la controparte, uno scrittore di cui non ha mai sentito parlare.
VIROLOGO: Buongiorno, piacere di conoscerla!
SCRITTORE: Buongiorno, il piacere è tutto mio! Lei è praticamente dovunque da due mesi a questa parte.
VIROLOGO: Guardi, lasciamo perdere. Tra TV, radio, interviste… è un continuo spostarsi! Anzi, mi perdoni se sono così sudato, ma per colpa dei trasporti che vanno a singhiozzo ho dovuto fare una corsa per venire qua. Sa cosa le dico: rimpiango la tranquillità di prima, mi creda!
SCRITTORE: Immagino.
VIROLOGO: A lei invece come va la quarantena? Si sta comportando bene in queste settimane?
SCRITTORE: Non ho azzardato neppure una volta a mettere il naso fuori di casa.
VIROLOGO: Bravissimo! Se si fossero comportati tutti come lei, a quest’ora saremmo già fuori da un bel pezzo.
SCRITTORE: È stata veramente efficace la campagna di persuasione morale a colpi di hashtag “iostoacasa” o “iorestoacasa” (ora non ricordo esattamente quale dei due), almeno nel mio caso. Poi per fortuna che a fare la spesa ci pensa mia suocera: deve vedere con che passione si reca al supermercato quasi tutti i giorni! Sì, insomma, non mi lamento, posso lavorare a casa senza problemi.
VIROLOGO: Effettivamente lo smart working è un’ottima soluzione. Si immagini se questa pandemia fosse capitata venti-trent’anni fa: altro che questa crisi economica!
SCRITTORE: Per me è cambiato poco o nulla. Lavoro sempre da casa io: scrivo romanzi.
VIROLOGO: Interessante! Allora ne avrà di materiale su cui scrivere in questi giorni.
SCRITTORE: Di materiale ce n’è a bizzeffe. Quello che manca è la voglia.
VIROLOGO: Ma lei ha per caso scritto qualche libro sulle epidemie di peste o colera del passato? Glielo domando perché mi sto chiedendo per quale ragione l’abbiano invitata qui oggi.
SCRITTORE: In realtà no, e me lo sono chiesto pure io il perché. Ma lei sa meglio di me come funzionano questi format: invitano un esperto e una persona che non lo è, e sotto ad azzuffarsi nello scontro di opinioni.
VIROLOGO: Sì davvero, è una roba allucinante! Comunque lei mi sembra una persona molto pacata, non correremo questo rischio. Però mi permetta di correggerla; la mia è qualcosa di più di una semplice opinione: in questi dibattiti sono il portavoce della scienza.
SCRITTORE: No no è chiaro, è che stavo semplificando le cose io. Però sono d’accordo con lei: sono confronti squilibrati.
VIROLOGO: Sa che quand’ero giovane avevo delle aspirazioni letterarie? Poi per fortuna ho preferito virare professionalmente altrove. Però vado molto fiero della mia maturità classica: è là che campeggia pure lei nel mio studio… sa, tra il latino di Linneo e il greco di Ippocrate, mi è stata davvero utile! Ma non escludo che mi metterò a scarabocchiare qualcosa a breve, chissà, magari dopo la quarantena, quando per me sarà tutto più tranquillo.
SCRITTORE: Quindi vorrebbe seguire le orme del dottor Živago? Da medico a poeta?
VIROLOGO: Non esageriamo! Per me sarebbe giusto un passatempo, un anti-stress.
SCRITTORE: Eppure sa che alcuni scrittori e protagonisti dei miei romanzi preferiti sono proprio dei medici? Il dottor Živago, per l’appunto. Ma anche il dottor Rieux di Camus. Dicevano che fosse medico pure l’evangelista Luca. Vogliamo poi parlare di Rabelais, Arthur Conan Doyle, Michail Bulgakov? O di Céline? Lo stesso Flaubert: non lo era, ma nelle sue vene scorrevano almeno due generazioni di medici. Sa cosa diceva Čechov? “La medicina è la mia moglie legittima, la letteratura è la mia amante.” Tutti scrittori magistrali, immortali direi! E lo sa perché?
VIROLOGO: Perché?
SCRITTORE: Perché a voi medici tocca il privilegio di poter vivisezionare i corpi e osservarli. Céline diceva: “Lo spirito s’accontenta di frasi, il corpo non è la stessa cosa, è più difficile lui, gli ci vogliono i muscoli. È qualcosa di sempre vero un corpo, è per questo che è quasi sempre triste e disgustoso da guardare.” E se lo diceva lui che trattava la parola come un bisturi…
VIROLOGO: Mi fa veramente piacere sapere che ha una così alta considerazione del nostro mondo, anche dalla sua prospettiva di scrittore intendo, il che è abbastanza raro, sa. E concordo con Céline: il corpo è più vero dello spirito, non mente mai. Anzi, il corpo è la cosa più importante: come potremmo parlare di spirito se non avessimo un corpo?
SCRITTORE: Effettivamente sarebbe impossibile.
VIROLOGO: Esattamente. Adesso capisce perché ho deciso di dedicarmi alla scienza e non alla scrittura? L’umanità ha bisogno più di certezze che di fantasie e illusioni.
SCRITTORE: Beh, se la mette sul piano dell’esattezza della scienza riconoscerà che in questi mesi sono stati fatti parecchi pasticci…
VIROLOGO: Sì, ha ragione. Però noi procediamo per ipotesi, sperimentazioni, errori; ma non ci inventiamo nulla! Tutto viene rigorosamente ponderato. D’altra parte, l’efficienza di una società si misura sulla sua capacità di dare ascolto alla voce della scienza, in qualunque aspetto della sua vita. Le dico una cosa: dipendesse da me, piazzerei solo dei tecnici in Parlamento per il bene del Paese.
SCRITTORE: Quando crede che si possa tornare alla normalità?
VIROLOGO: Vedo che non mi segue così spesso in TV. Come ho già detto più volte: finché non arriverà questo benedetto vaccino.
SCRITTORE: Ma arriverà?
VIROLOGO: Certo che arriverà. Ma non mi chieda quando, come fanno tutti, perché non glielo so dire.
SCRITTORE: Potrebbe essere che non sia così efficace come speriamo?
VIROLOGO: Ovviamente la speranza è che lo sia. Per quanto mi riguarda, io ho una gran fiducia nella scienza.
SCRITTORE: Fiducia o fede?
VIROLOGO: Direi fiducia. Fede è una parola che non mi va di usare accanto alla scienza.
SCRITTORE: Però stiamo dicendo che sul vaccino non ci sono ancora certezze sul quando sarà pronto, e quando lo sarà, se sarà efficace. Concorderà quindi con me che, nonostante siamo nel campo della scienza, stiamo prestando fede a una speranza? E, più precisamente, alla speranza nell’onnipotenza della scienza?
VIROLOGO: Mi pare che stia forzando un po’ il suo ragionamento. Diciamo così: ritengo che ci siano dei validi motivi per credere nella scienza e nella sua onnipotenza.
SCRITTORE: Ma abbiamo anche ottimi elementi – basti guardare ai suoi presupposti fondanti – per considerare fallibile la scienza. Ammetterà che una speranza è, per natura, un’illusione, una fantasia, altrimenti non ci aggrapperemmo a essa nei nostri momenti più disperati, vero?
VIROLOGO: Vero, però grazie alla scienza medica, per esempio, la speranza di vivere più a lungo è diventata una realtà per molti. Questo è innegabile.
SCRITTORE: È innegabile, tanto quanto è innegabile che non ci sarebbe vita senza illusioni. Il corpo ha delle dimensioni, è una quantità misurabile, trattabile: ovvio che sia oggetto di scienza. Però, come diceva appunto Céline, il corpo è anche “disgustoso da guardare”: basta aprirlo! Crede davvero che una società che assume come valore fondante la meccanicità del corpo, valorizzandone magari al massimo grado la longevità, sia davvero una società sana ed efficiente? La scienza è davvero in grado di educarci a distinguere il vivere dal sopravvivere?
Nel frattempo entra il presentatore.
PRESENTATORE: Preparatevi. Fra trenta secondi siamo in onda.
Stefano Vigano
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