Verso la Chiave per Rallentare l’Invecchiamento del Cervello

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Declino cognitivo ed epigenetica
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Una ricerca italiana apre la strada a nuove strategie preventive, basate su molecole naturali, per proteggere i nostri neuroni dal tempo e dal declino cognitivo.

Nonostante decenni di ricerca, l’Alzheimer rimane una fortezza inespugnata per la medicina. E così anche il declino cognitivo. Le terapie focalizzate sulla rimozione dei danni visibili si sono rivelate inefficaci, perché non combattono un singolo nemico, ma una patologia multifattoriale complessa, dove genetica, epigenetica e stile di vita si intrecciano.

Per questo, la ricerca più avanzata sta cambiando radicalmente strategia: non più inseguire il danno, ma prevenirlo alla fonte, agendo sui meccanismi di regolazione interni alle cellule.

È qui che si colloca la svolta del team del Prof. Andrea Fuso della Sapienza: l’identificazione di un “pannello di controllo” epigenetico che orchestra la malattia. Una scoperta che apre la strada non a una cura tardiva, ma a una prevenzione intelligente dell’invecchiamento cerebrale.

L’Epigenetica: il “Software” che Dirige l’Invecchiamento

Per comprendere la portata di questa scoperta, è essenziale chiarire il concetto di epigenetica. Se il nostro DNA è l’hardware, l’insieme di geni ereditato, l’epigenetica è il software: un complesso sistema di “etichette” chimiche che vengono apposte sul DNA per decidere quali geni accendere e quali spegnere in un dato momento. Questo software non modifica la sequenza genetica, ma ne dirige l’espressione, ed è profondamente influenzato dal nostro stile di vita, dalla nutrizione e dall’ambiente.

Con l’invecchiamento, questo programma di regolazione può diventare meno preciso. L’accumulo di “errori” epigenetici è oggi considerato uno dei principali motori del declino funzionale e dell’insorgenza di patologie età-correlate, incluso il declino cognitivo. Riuscire a “correggere” questo software è la nuova frontiera della medicina.

Ma l’Alzheimer è solo un capitolo di una storia molto più vasta. I meccanismi epigenetici, infatti, non sono all’opera solo nel cervello; sono il metronomo che scandisce il ritmo dell’invecchiamento in ogni singola cellula del nostro corpo. Dalla perdita di elasticità della pelle al declino del sistema immunitario (immunosenescenza), dall’aumento del rischio cardiovascolare fino alla predisposizione a certi tumori, alla base c’è quasi sempre un’alterazione del nostro “software” epigenetico. Ecco perché la ricerca di una “chiave” capace di intervenire su questi processi ha una portata che va ben oltre la singola malattia. Non si tratta solo di curare una patologia, ma di riscrivere le regole dell’invecchiamento biologico per promuovere una longevità più sana.

La Scoperta: un Pannello di Controllo per la Beta-Amiloide

Lo studio del team del Prof. Fuso, pubblicato sulla prestigiosa rivista Alzheimer’s & Dementia, ha fatto luce proprio su uno di questi circuiti di controllo. È noto che la beta-amiloide viene prodotta da due enzimi, vere e

Cervello, declino cognitivo ed epigeneticaproprie “forbici molecolari” codificate dai geni PSEN1 e BACE1. Il gruppo di Fuso aveva già dimostrato che la metilazione (una delle principali “etichette” epigenetiche) poteva spegnere PSEN1. Restava da capire come fosse regolato BACE1.La nuova ricerca ha svelato un meccanismo tanto elegante quanto inaspettato. La metilazione del DNA non agisce direttamente su BACE1, ma controlla un piccolo RNA regolatore, il microRNA miR-29a. In modo contro-intuitivo, la metilazione in questo caso non spegne, ma attiva l’espressione di miR-29a. A sua volta, questo microRNA agisce come un silenziatore di precisione, spegnendo il gene BACE1.

In sintesi, la metilazione orchestra una doppia azione protettiva: spegne direttamente una forbice (PSEN1) e, contemporaneamente, attiva un silenziatore (miR-29a) che spegne la seconda forbice (BACE1). “Abbiamo trovato la chiave di lettura di un processo di cui prima vedevamo solo il risultato finale –  spiega il Prof. Fuso – è un pannello di controllo integrato, fondamentale per approcciare una patologia fortemente multifattoriale come l’Alzheimer”.

Dalla Comprensione alla Terapia: il Ruolo di SAMe e Stamisoma

Questa non è solo conoscenza di base. L’intero sistema, infatti, è modulato da un processo biochimico noto come “metabolismo a un atomo di carbonio”, fortemente dipendente da nutrienti come le vitamine del gruppo B e dalla S-adenosilmetionina (SAMe), il principale donatore di gruppi metile della cellula. Lo studio ha dimostrato che fornendo SAMe è possibile aumentare la metilazione, attivare il miR-29a protettivo e, di conseguenza, ridurre la produzione di beta-amiloide.

Questo posiziona molecole come la SAMe non più come semplici integratori, ma come potenziali farmaci epigenetici, capaci di agire sul meccanismo primario della malattia. Su questa stessa linea si inseriscono altre sostanze promettenti, come lo Stamisoma, un estratto purificato da uova di pesce che, in recenti studi condotti proprio dal prof. Fuso, sta mostrando una notevole capacità di modulare la risposta epigenetica e, fattore cruciale, di ridurre la neuroinfiammazione, un altro pilastro del processo neurodegenerativo.

La speranza, dunque, è quella di sviluppare strategie preventive e terapeutiche che non inseguano il danno, ma che mantengano in salute il “software” dei nostri neuroni. Una prospettiva che, grazie a questa ricerca, oggi è un passo più vicina.

In esclusiva per Saluteuropa il prof. Fuso ci ha raccontato più nel dettaglio queste sue ricerche spiegando con chiarezza quali sono i meccanismi epigenetici che determinano il nostro invecchiamento cerebrale e quali sono le nuove strategie di trattamento su cui sta lavorando con il suo team.

Ascolta qui il talk con il prof. Fuso

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