Quando dipingere dona una nuova forza, una ragione in più per vivere.
Una donna immobile, seria, sullo sfondo di un paesaggio desertico a cui fa da cornice un cielo plumbeo.
Il corpo della giovane è lesionato, squarciato: all’interno possiamo vedere una colonna ionica rotta in più punti.
La frammentaria e inquietante struttura evoca la spina dorsale, che l’artista messicana Frida Kahlo si fratturò in più punti durante un grave incidente su un autobus all’età di soli diciotto anni.
Proprio a causa di questo terribile avvenimento che la costrinse per molti anni immobile e la sottopose ad oltre trentadue operazioni chirurgiche, Frida trovò nell’arte uno sfogo per raccontare se stessa, le sue sofferenze, ma anche l’amore per l’uomo più importante della sua vita: Diego Rivera.
Le tele dell’artista, spesso apparentemente naif, riflettono la sua profonda e tormentata intimità.
L’autoritratto di Frida mostra l’adesione della pittrice al surrealismo e in particolare allo stile di Max Ernst.
Ricoprono il corpo della pittrice numerosi chiodini che acuiscono la visione di dolore e di solitudine patita dall’artista per tutta la vita.
Frida sembra riprendere l’iconografia cristiana, assimilandosi per la sofferenza patita alla figura di una martire.
In questo dipinto il dolore è muto, serrato nel petto, ma forte, lancinante.
Frida non può urlare, ma trasfigura il paesaggio dietro di sé rendendolo spoglio, squarciato da buche, solcato da un perfido vento come a rievocare quella tragica giornata che cambiò inesorabilmente la sua vita.
Mira Carboni
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