“Un semplice aumento di informazioni e di comunicazione non rischiara il mondo”, scrive il filosofo sud-coreano Byung-Chul Han nel libro La società della trasparenza, evidenziando come l’accumulo di dati con modalità meramente additive non implichi necessariamente scelte migliori, né renda possibile un’equazione fra trasparenza e verità.
I dati accumulati, infatti, rimangono uguali a se stessi e mancano di direzione come pure di storia: in pratica, di senso. Eppure, la domanda di trasparenza è fortissima e il vento della comunicazione digitale si insinua in ogni possibile piega della società.
Byung-Chul Han individua nella mancanza di fiducia la causa prima della domanda crescente di trasparenza e, nella rete digitale, il medium con cui tentare di soddisfarla. La fiducia, del resto, si colloca nello spazio che esiste fra il sapere e il non-sapere, uno spazio che la trasparenza comprime fino ad annientare. La rete digitale, come medium della trasparenza stessa, è uno spazio che sfugge ad ogni imperativo morale, trasformando il mondo in un unico, gigantesco mercato in cui “le intimità vengono esposte, comprate e consumate”. Si assolutizza, quindi, tutto quanto sia o possa rendersi visibile allo sguardo pan-ottico della rete cui ciascuno sceglie, più o meno consapevolmente e tuttavia volontariamente, di consegnarsi, divenendo a sua volta elemento funzionale di un sistema. Sistema che realizza una capillare sorveglianza dell’individuo senza però attaccarne la libertà.
Uno scenario inquietante, quindi, in cui tutto è visibile e l’eccesso di illuminazione priva di ogni luce la società della trasparenza, mentre l’uomo si va dissolvendo, minuscolo pesciolino in un acquario, nel suo mero valore di esposizione. La violenza della trasparenza, una tematica attualissima per un libro da non perdere.
Maria Rosaria Brizi
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