Basta guerra al cancro: “Possiamo rieducarlo”. La nuova frontiera della ricerca, con l’Italia in prima linea

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Il prestigioso magazine New Scientist dedica un approfondimento con richiamo in copertina a un cambio di prospettiva nella ricerca sul cancro: non solo uccidere le cellule tumorali, ma persuaderle a tornare sane. Ricercatori da tutto il mondo, inclusa l’Italia, stanno ottenendo risultati sorprendenti.

E se invece di bombardare il cancro con una guerra senza quartiere, provassimo a parlarci? Se potessimo convincere le cellule impazzite a “mettere la testa a posto” e tornare a essere “cittadine” funzionali e pacifiche del nostro corpo? Sembra fantascienza, ma è la nuova, rivoluzionaria frontiera della ricerca oncologica a cui il magazine scientifico britannico New Scientist ha dedicato il suo ultimo, approfondito reportage. L’obiettivo non è più solo annientare il nemico, ma “riabilitarlo”.

L’idea, che sta guadagnando sempre più consensi, si basa su un concetto affascinante: trattare il cancro come una malattia dello sviluppo. In pratica, le cellule tumorali sono viste come cellule immature che hanno perso la strada, bloccate in un ciclo di crescita incontrollata. La nuova sfida è quindi “rieducarle”, spingendole a completare il loro percorso di differenziazione per trasformarsi in cellule benigne.

I pionieri e i successi che hanno aperto la strada

Questo approccio ha radici storiche. Già negli anni ’50 e ’60, diversi ricercatori dimostrarono che cellule tumorali embrionali, se impiantate in topi adulti, potevano differenziarsi e contribuire a formare tessuto sano. Ma la svolta clinica arrivò a metà degli anni ’80 grazie a due medici cinesi, Zhen-Yi Wang e Zhu Chen. Ispirati dal filosofo Confucio, che predicava l’educazione anziché la punizione, applicarono questo principio alla leucemia promielocitica acuta (APL). Trattarono una bambina di 5 anni, ormai in fase terminale, con un derivato della vitamina A. Il farmaco non uccise le cellule tumorali, ma le “costrinse” a maturare in globuli bianchi normali. In un mese, la bambina era in remissione completa, e oggi quella terapia ha trasformato la APL da malattia quasi sempre fatale a condizione curabile nel 90% dei casi.

Dai tumori al cervello al cancro al seno: i nuovi traguardi

Oggi, i progressi tecnologici stanno portando questa idea a un nuovo livello. L’articolo di New Scientist racconta del lavoro di Ling He nel laboratorio di Frank Pajonk all’Università della California, Los Angeles. Il suo team ha preso cellule di glioblastoma, uno dei tumori al cervello più letali, e le ha trattate con una molecola chiamata forskolin. Il risultato è stato sbalorditivo: le cellule maligne hanno smesso di comportarsi come tali e si sono trasformate in neuroni e altre cellule cerebrali sane. Nei test sui topi, questo trattamento ha triplicato la loro sopravvivenza.

Questo non è un caso isolato. Nel 2019, un team dell’Università di Basilea, in Svizzera, ha utilizzato un cocktail di farmaci per spingere le cellule di cancro al seno a trasformarsi in innocue cellule adipose. La base scientifica di queste “magie” risiede nelle scoperte del premio Nobel Shinya Yamanaka, che ha dimostrato come sia possibile riprogrammare cellule adulte facendole tornare a uno stato embrionale e poi guidarle verso un nuovo destino.

L’Italia in prima linea e le sfide future

In questo scenario globale, l’Italia gioca un ruolo da protagonista. New Scientist cita esplicitamente i lavori del prof. Mariano Bizzarri (Università Sapienza di Roma) e del dott. Andrea Pensotti (Università Campus Bio-Medico di Roma) suo collaboratore il cui fondamentale lavoro di dottorato ha tracciato una mappa completa di questi studi, mettendone in luce gli aspetti cruciali. Il team di Bizzarri, che lavora su questi temi da oltre 25 anni, sta esplorando l’uso di estratti da uova di pesce e staminali (stamisoma) per trovare molecole in grado di correggere la malignità agendo sull’ambiente cellulare. Questi lavori non solo hanno confermato la possibilità di rieducare le cellule tumorali ma hanno anche messo in luce alcuni dei meccanismi sottostanti. I principali protagonisti di quest’azione sono i microRNAs, piccole molecole che agiscono come “interruttori” intelligenti, in grado di regolare l’attività dei geni all’interno della cellula. I risultati più recenti sono ancora più incoraggianti: questi estratti (o stamisoma) si sono dimostrati capaci di ripristinare un corretto metabolismo e persino la funzionalità dei mitocondri, le “centrali energetiche” delle cellule, che risultano quasi sempre danneggiate nei processi tumorali. 

Cosa aspettarsi per il futuro da queste ricerche?

Certo, la strada è in salita. Come avverte Ben Stanger, ricercatore sul cancro al pancreas dell’Università della Pennsylvania, il tumore è “una bestia evolutiva che cerca costantemente di sopravvivere”. Ma qui entra in gioco la tecnologia. Boris Kholodenko, biologo sistemico a Dublino, ha sviluppato un modello computerizzato chiamato cSTAR, che crea dei veri e propri “gemelli digitali” delle cellule. Questi modelli possono simulare e predire quali combinazioni di farmaci sono più efficaci per spingere una cellula tumorale fuori dalla sua “valle patologica” e riportarla su un percorso sano. I primi test su cellule di neuroblastoma hanno già dato risultati incoraggianti.

L’approccio tradizionale, basato sul tentativo di eradicazione, si scontra spesso con la capacità del cancro di sviluppare resistenze. Come sottolinea Jan Brábek dell’Università Carolina di Praga, “se cerchi di uccidere le cellule, hai contro l’arma più efficiente di tutte: la selezione darwiniana”. Educare, invece che distruggere, potrebbe essere la chiave per aggirare questa formidabile difesa.

Non si tratta di abbandonare le cure attuali, ma di integrarle con una nuova, sofisticata strategia. Dopo decenni di “guerra totale”, forse è arrivato il momento, come conclude New Scientist, di “esplorare l’arte della negoziazione” con il nostro più astuto nemico.

 

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