Piccoli fegati personalizzati per velocizzare i test dei nuovi farmaci antitumorali

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Ricostruire dei “piccoli organi”, detti organoidi, in vitro partendo dalle stesse cellule del paziente e studiare l’efficacia di nuovi farmaci proprio su quello specifico paziente. 

Il metodo, sviluppato dai ricercatori di Singapore, è stato applicato con successo su cellule di tumore al fegato ed ha permesso di testare miratamente l’efficacia di alcuni farmaci. Le ricerche sono state pubblicate su Biomaterials.

Tumore al fegato: ancora pochi farmaci efficaci

Il tumore al fegato rappresenta tutt’oggi una delle principali cause di morte per tumore nel mondo, ed i trattamenti approvati efficaci sono ancora scarsi.

Una delle principali sfide è pertanto quella di sviluppare nuovi farmaci efficaci. Attualmente però i modelli in vitro di tumore al fegato non sono in grado di simulare realisticamente ciò che avviene nel corpo del paziente. Per questa ragione è ancora difficile valutare nelle fasi di studio pre-clinico la reale efficacia dei farmaci sotto ricerca e i fallimenti durante la trasposizione clinica del farmaco sperimentale sono ancora alti.

Fino ad oggi infatti i tentativi di coltivare in vitro cellule tumorali non riuscivano a riflettere né la reale struttura tridimensionale del tumore né il micro ambiente nel quale il tumore vive e si sviluppa.

Come si è riuscito a creare gli organoidi

Nello studio condotto dalla dott.ssa Eliza Fong e dal dott Toh Tan Boon, della National University of Singapore (NUS), i ricercatori sono riusciti a coltivare cellule di tumore al fegato prelevate da 14 diversi pazienti inserendole in stampi 3D realizzati con uno speciale idrogel poroso a base vegetale. I ricercatori hanno ingegnerizzato questi scaffold spugnosi in modo da ottenere proprietà ottimali sia dal punto di vista biochimico che meccanico. Il risultato è stato quello di avere una coltura di cellule tumorali molto simile alle condizioni reali sia dal punto di vista della forma e della struttura che dal punto di vista della funzione.

Questa tecnica viene definita in termini tecnici “xenotrapianto derivato da pazienti o patient-derived xenografts (PDX).

I vantaggi ottenuti con gli organoidi

Questa tecnica ha permesso di ottenere tre grossi risultati fino ad oggi impensabili:

  • mantenimento delle caratteristiche originarie del tumore: a differenza di quanto accade nelle normali colture cellulari infatti le cellule in coltura PDX hanno mantenuto le stesse modifiche geniche che erano presenti nelle cellule originali;
  • mantenimento dell’eterogeneità del tumore: ogni tumore è caratterizzato da una popolazione variegata di cellule tumorali e la composizione di ciascun tumore rappresenta una delle principali cause alla base delle diverse risposte ai trattamenti antitumorali. Questa eterogeneità che si è ottenuta con la tecnica degli organoidi, non è possibile raggiungerla con i tradizionali metodi di coltura cellulare nei quali invece le cellule sono identiche;
  • miniaturizzazione degli scaffold 3D contenenti gli organoidi: in questo modo è possibile inserire gli organoidi all’interno del pozzetto di una piastra di micro titolazione da 96, ossia la piattaforma standard per lo screening ad alta efficienza dei farmaci; una tecnica che permette di testare contemporaneamente diversi composti.

“Questo studio è una dimostrazione di quello che si può ottenere dalla sinergia tra ingegneria dei tessuti e la biologia del cancro riuscendo a realizzare una coltura di tumori dei pazienti al di fuori del corpo” – spiega la dott.ssa Fond.

“Avere una piattaforma affidabile per accrescere le cellule derivate dal cancro del fegato è un passo importante nella medicina personalizzata, poiché ora possiamo utilizzarle per aumentare la risposta del tumore ai farmaci”.  Aggiunge il dott. Toh.

Sebbene questi modelli forniscano una rappresentazione più realistica su come effettivamente potenziali farmaci antitumorali potrebbero funzionare nell’uomo, tuttavia va ricordato che al momento questi modelli restano ancora troppo dispendiosi sia in termini di denaro che di tempo.

Fonti:

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0142961217308323?via%3Dihub

http://nus.edu.sg