Quando il falso invalido rischia di dover rispondere del reato di truffa aggravata.
Non di rado capita che la polizia giudiziaria individui persone che si fingono portatrici di gravi invalidità al solo scopo di ottenere l’erogazione di indennità assistenziali da parte dello Stato. Nella maggior parte dei casi tali condotte integrano il reato “indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato” (art. 316 ter codice penale; in tal caso la pena prevista dal codice è quella della reclusione da sei mesi a tre anni). Ma qualora il reo utilizzi o presenti dichiarazioni false o attestanti cose non vere, oppure ometta informazioni dovute, che hanno natura fraudolenta (ossia quando vengano in essere artifici e raggiri, volti a ingannare in modo fraudolento l’istituto previdenziale), allora si configura il reato più grave di “truffa aggravata” (art. 640 bis codice penale; in questo caso la pena prevista dl codice è quella della reclusione da uno a sei anni).
La Corte di Cassazione ha avuto modo di ribadire tali principi nella sentenza 11 – 13 marzo 2015, n. 10766: “integra il delitto di truffa aggravata e non quello di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato l’utilizzazione o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, o l’omissione di informazioni dovute, quando hanno natura fraudolenta”. Nel caso trattato dalla Corte con la citata sentenza, l’artificio contestato (ossia, la condotta fraudolenta volta ad ingannare l’ente previdenziale) fu costituito dalla formazione e dall’utilizzazione di un falso verbale di commissione medica da parte del cosiddetto falso invalido: la produzione di questo documento all’ente previdenziale da parte del reo fu ritenuta condizione sufficiente per potersi e doversi applicare una condanna per truffa aggravata.
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Diego Colangelo
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