Il cervello non è razzista con i bambini

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Bambina piccola con peluches
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Il “pregiudizio” razziale verso i bambini piccoli non esiste. A dimostrarlo è uno studio realizzato da ricercatori di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca e pubblicato sulla rivista Neuropsychologia.

 

Fino ad oggi si pensava che l’effetto Other-race, secondo cui percepiamo con maggior rapidità e facilità i volti del nostro stesso gruppo etnico, fosse valido a prescindere dall’età dell’individuo, ma grazie allo studio Bicocca ora sappiamo che non è così.   

Infatti, quando di fronte abbiamo volti di ”infants” (i bambini tra i sei mesi e i tre anni), la nostra risposta emotiva è sempre di tenerezza e desiderio di protezione, a prescindere dall’appartenenza etnica.

Il motivo risiede nella loro caratteristiche pedomorfiche che includono testa grande rispetto al corpo, occhioni, guance paffute, boccuccia e nasino piccoli (baby schema).

 

A dimostrarlo sperimentalmente è lo studio “The other-race effect does not apply to infant faces: An ERP attentional study” pubblicato su Neuropsychologia e che vede come autrici Alice Mado Proverbio e Valeria De Gabriele del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca.

 

Lo studio

Per la ricerca, 17 studenti universitari di etnia caucasica (europea) dovevano decidere se un bersaglio lateralizzato (un piccolo albero) era in posizione verticale o invertita mentre veniva registrata la loro attività bio-elettrica cerebrale.

 

Gli obiettivi erano preceduti da 400 volti di bambino o adulto caucasici vs non-caucasici (per esempio asiatici o africani), visualizzati per 500 millisecondi nella stessa (o in un’altra) posizione, agendo così da spunti spaziali.

 

È risultato che tutti i partecipanti erano significativamente più veloci nel decidere circa l’orientamento corretto quando il bersaglio era preceduto da un volto infantile, perché non entrava in gioco alcun pregiudizio razziale.

Questo dimostra come l’attenzione visiva fosse letteralmente catturata dal cosiddetto “baby schema”, indipendentemente dall’etnia del bambino (africana, asiatica, indiana, ecc).

 

Diversamente accadeva quando il bersaglio era preceduto da un volto adulto, per il quale sono stati registrati chiari effetti “pregiudiziali” di altra-etnia (ORE), risultanti in espressioni come “ho visto la faccia di un uomo asiatico”.

 

I risultati

I dati di ricostruzione del generatore bioelettrico all’interno del cervello hanno mostrato come l’immagine dei bambini piccoli stimolasse specificamente la regione orbito-frontale del cervello, dove studi precedenti hanno localizzato il “circuito del piacere”, sorgente di stimoli positivi come l’amore materno o parentale, la quale è ricca di recettori per l’ossitocina, neuro-ormone alla base dei processi di attaccamento affettivo.

«Questi dati – commenta l’autrice dello studio Alice Mado Proverbio – dimostrano come il cervello umano sia programmato per prendersi cura dei piccoli di qualunque etnia; questa informazione “razziale” viene ignorata totalmente dal cervello se si tratta di bambini, mentre agisce sulla regolazione del comportamento (pregiudizio), se si tratta di adulti. Il piacere e la tenerezza che proviamo spontaneamente alla vista dei bambini piccoli (generalizzata ai cuccioli di altre specie) è frutto di un meccanismo cerebrale innato per assicurare protezione e sopravvivenza ai piccoli non-consanguinei, e anzi di qualunque gruppo etnico umano».

 

Fonti:

A. Mado Proverbio, V. De Gabriele, “The other-race effect does not apply to infant faces: An ERP attentional study”, Neuropsychologia, 29 Marzo 2017. Leggi qui