Lo studio europeo, coordinato a Padova e finanziato dalla Fondazione Città della Speranza, è stato selezionato dall’American Society of Clinical Oncology per l’impatto che avrà sulla cura dei pazienti ammalati di tumore. Risultati illustrati all’ASCO Annual Meeting di Chicago dal prof. Gianni Bisogno.
I bambini con rabdomiosarcoma
Sei mesi di chemioterapia di mantenimento a basse dosi accrescono la possibilità di guarigione dei bambini con rabdomiosarcoma ad alto rischio di recidiva. A cinque anni dalla diagnosi, infatti, il tasso di sopravvivenza passa dal 73,7%, se si ricorre al trattamento standard, all’86,5% dato dalla nuova cura. La novità è destinata a cambiare gli standard di cura in Europa e nel mondo.
Lo studio e i risultati
Il risultato, dopo circa 10 anni di ricerche, è stato ottenuto grazie ad uno studio coordinato dal prof. Gianni Bisogno del Dipartimento della salute della donna e del bambino dell’Università degli Studi di Padova – Azienda Ospedaliera, a cui hanno collaborato 14 nazioni europee e più di 100 centri di oncologia pediatrica aderenti all’European paediatric Soft tissue sarcoma Study Group (EpSSG).
Lo studio, finanziato dalla Fondazione Città della Speranza e realizzato in collaborazione con il dott. Gian Luca De Salvo dell’Unità di Ricerca Clinica dell’Istituto Oncologico Veneto, è stato selezionato fra oltre 5mila proposte per essere presentato al meeting annuale dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) domenica 3 giugno a Chicago, nella sessione dedicata ai quattro studi che avranno il maggior impatto sulla cura del paziente.
“Abbiamo trattato il rabdomiosarcoma allo stesso modo per più di 30 anni e, sebbene siano stati provati diversi approcci, questo è stato il primo studio capace di dimostrare un effettivo miglioramento della sopravvivenza dei pazienti – spiega il prof. Bisogno –. Grazie ad un uso innovativo dei farmaci esistenti, stiamo stabilendo un nuovo standard di cura e, soprattutto, stiamo aiutando bambini e adolescenti con questo tumore raro a vivere più a lungo e con meno rischi di recidiva“.
Il rabdomiosarcoma, la ricerca e le prospettive
Il rabdomiosarcoma rappresenta il 4% di tutti i tumori infantili. Ha origine nel tessuto muscolare e può manifestarsi in qualsiasi parte del corpo, ma più spesso nella testa, nel collo, negli arti e nell’addome. La prognosi è generalmente buona: fino all’80% dei bambini può essere curato tramite chemioterapia intensiva, radioterapia e chirurgia. La percentuale scende al 20-30% per quei bambini che presentano metastasi alla diagnosi o una recidiva dopo il trattamento iniziale.
Lo studio ha riguardato 371 pazienti di età compresa tra 6 mesi e 21 anni (il 79% aveva meno di 10 anni), considerati ad alto rischio di recidiva a causa di tumori di grandi dimensioni o situati in una parte del corpo difficile da trattare (ad esempio la testa).
Dopo aver completato il consueto trattamento iniziale, una parte dei pazienti ha proseguito con la cura standard, mentre l’altra parte ha intrapreso per sei mesi una terapia di mantenimento con basse dosi di due farmaci chemioterapici, vinorelbina per via endovenosa e ciclofosfamide per via orale.
I risultati hanno dimostrato come, a cinque anni dalla diagnosi (la maggior parte dei bambini con rabdomiosarcoma, che dopo questo lasso di tempo sono ancora in vita, sono considerati guariti poiché la recidiva del tumore è eccezionale), la sopravvivenza fosse del 73,7% nel gruppo con trattamento standard e dell’86,5% nel gruppo di mantenimento.
Gli effetti indesiderati prodotti dalla nuova terapia si sono rivelati contenuti e molto più bassi rispetto a quelli che si vedono con le cure standard. Quello più comune, ovvero il basso numero di globuli rossi, si è presentato in maniera lieve, mentre la neutropenia febbrile (febbre causata da livelli molto bassi di globuli bianchi) ha riguardato il 25% dei pazienti. Gli effetti collaterali neurologici si sono risolti dopo la conclusione del trattamento. Come per la maggior parte delle chemioterapie, tuttavia, gli effetti collaterali a lungo termine sono ancora possibili e, pertanto, i pazienti continueranno a essere monitorati.
Le conclusioni
“I risultati di questo studio hanno già cambiato lo standard di cura in Europa e con ogni probabilità lo cambierà nel resto del mondo – conclude il prof. Bisogno –. Stiamo collaborando con i colleghi nordamericani per comprendere come integrare la terapia di mantenimento nei loro protocolli di trattamento che sono leggermente diversi da quelli Europei”.
Redazione
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