L’idea che alcune caratteristiche si tramandino di padre in figlio è ormai comune e condivisa. Ma quando un giovane giardiniere e apicultore asburgico ebbe l’intuizione di cercare di dimostrarlo, aprì la strada ad una nuova scienza: la genetica.
Nel 1865 il monaco moravo, Gregor Johann Mendel, pubblicò i risultati delle sue sperimentazioni in un lavoro dal titolo “Esperimenti sull’ibridazione delle piante”.
Mendel aveva incrociato per otto anni, nel tranquillo giardino del suo monastero, alcune caratteristiche di tre generazioni di due tipi di piante di pisello. Tali unità furono in seguito chiamate geni.
Il fondamentale contributo di Mendel è di tipo metodologico: egli applica per la prima volta lo strumento matematico, in particolare la statistica e il calcolo delle probabilità, allo studio dell’ereditarietà biologica.
Dall’ereditarietà biologica alla genetica
Il concetto innovativo da lui introdotto affermava che alla base dell’ereditarietà vi sono agenti specifici contenuti nei genitori, al contrario di quanto sostenuto all’epoca. Non si può parlare ancora di genetica ma trentacinque anni dopo, l’olandese Hugo de Vries, il tedesco Carl Correns e l’austriaco Erich Von Tschermak, dopo essere giunti alle stesse conclusioni del monaco della Slesia, si accorsero della sua opera e gli riconobbero il merito. Così, nel 1900 l’opera di Mendel riuscì ad avere il ruolo che le corrispondeva nella storia della scienza. La scienza dell’ereditarietà ricevette il nome di genetica nel 1906 ad opera di William Bateson; il termine “gene” fu introdotto ancora più tardi, nel 1909, da Wilhelm Johannsen.
Credit foto: Charley Harper Art Studio.com
Redazione
Ultimi post di Redazione (vedi tutti)
- Remuzzi: sappiamo ancora poco su durata immunità dei nuovi vaccini COVID-19 - Novembre 24, 2020
- Remuzzi: sappiamo ancora poco su durata immunità dei nuovi vaccini COVID-19 - Novembre 24, 2020
- Vaccino COVID-19: in quale posizione ti rispecchi maggiormente? - Settembre 10, 2020