La scoperta dell’esatta struttura di una proteina responsabile dell’Alzheimer potrebbe condurre allo sviluppo di nuovi farmaci mirati.
L’Alzheimer è la forma più comune di demenza degenerativa, ma non è ancora stata trovata una cura in grado di arrestarne definitivamente lo sviluppo.
La ricerca
Per la prima volta però gli scienziati sono riusciti ad osservare la struttura chimica di uno dei marcatori chiave dell’Alzheimer. Dopo una lunga serie di ricerche, essi hanno infatti ottenuto immagini ad alta risoluzione dei depositi anormali della proteina Tau, sospettati di essere i responsabili di questa e di altre malattie neurodegenerative.
Nello studio, i ricercatori inglesi guidati dal MRC Laboratory of Molecular Biology, hanno estratto filamenti di proteina Tau dal cervello di pazienti deceduti a cui era stato diagnosticato l’Alzheimer, e li hanno studiati utilizzando una tecnica chiamata microscopia crioelettronica.
La proteina Tau
Nei cervelli sani le proteine Tau agiscono come stabilizzatore, ma quando queste diventano difettose, danno origine a fasci di filamenti aggrovigliati che si pensa impediscano la comunicazione tra le cellule del cervello.
Essi portano quindi alla neurodegenerazione e alla ridotta capacità cognitiva tipiche della malattia di Alzheimer.
I ricercatori hanno studiato il coinvolgimento della proteina Tau nell’Alzheimer per decenni, ma prima d’ora non erano mai stati in grado di osservarne i filamenti da così vicino.
Speranze per il futuro
Le immagini fornite dalla microscopia crioelettronica, dato che ci permettono di conoscere l’esatta struttura della Tau, potrebbero offrire l’opportunità di sviluppare nuovi farmaci mirati a eliminare i fasci dannosi di questa proteina dal cervello dei malati (e quindi combattere l’Alzheimer).
“Questa è la prima volta che qualcuno ha determinato una struttura ad alta risoluzione per una di queste malattie” ha dichiarato il neuroscienziato Michel Goedert. “Il prossimo passo sarà usare queste informazioni per studiare il meccanismo della neurodegenerazione”.
Fonte:
https://www.nature.com/nature/journal/vaop/ncurrent/full/nature23002.html
Redazione
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