Osservare l’attività cerebrale può essere il futuro per il trattamento della depressione

518
Tempo di lettura: 2 minuti

Una tecnica non invasiva che stimola una parte del cervello nota per essere coinvolta nella depressione potrebbe portare grandi vantaggi per le persone con questo disordine.

Questo è ciò che è stato scoperto in un recente studio. La tecnica, chiamata neurofeedback di fMRI (functional magnetic resonance imaging), prevede di osservare l’attività della propria amigdala, parte del cervello che gestisce le emozioni, e tentare coscientemente di aumentare tale attività richiamando memorie positive.

Kymberly Young, autore principale dello studio e assistente di psichiatria presso la University of Pittsburgh School of Medicine, afferma che l’esperimento, seppure con un campione piccolo, ha dato risultati promettenti.

La ricerca e i risultati

Nello studio Young ha suddiviso 36 volontari adulti con depressione in due gruppi: un gruppo è stato sottoposto al neurofeedback sull’amigdala, l’altro gruppo invece, un gruppo di controllo, è stato sottoposto a un falso esercizio neurofeedback su una parte del cervello non coinvolta nell’elaborazione emotiva. Il cervello delle persone in entrambi i gruppi è stato scansito da una fMRI per individuare la posizione dell’amigdala o della regione di controllo del cervello.

I ricercatori hanno poi mostrato ai partecipanti un segnale con lo scopo di capire se tentassero di regolare la sua forza richiamando momenti felici.

Dopo due sessioni, 12 dei 19 partecipanti che hanno provato la tecnica fMRI neurofeedback hanno mostrato una significativa diminuzione di depressione, valutata attraverso una scala di valutazione standard, dopo due sessioni, a fronte di solo due persone nel gruppo di controllo.

“Finora siamo nella fase in cui mostriamo che ciò è efficace”, dice Young.

Il ruolo dell’amigdala

Uno dei motivi per i quali Young e la sua squadra credono che il trattamento possa essere di successo è dovuto dal noto ruolo che l’amigdala gioca nella depressione. L’amigdala delle persone depresse tende infatti ad essere più sensibile ai segnali emozionali negativi, come una fotografia che ricorda loro una situazione spaventosa, e meno rispondente ai segnali emotivi positivi, come un felice ricordo infantile.

Young cerca quindi di verificare se aumentare la reattività dell’amigdala ai ricordi positivi possa contribuire a ridurre i sintomi depressivi.

Considerazioni

Il neurofeedback di fMRI, afferma inoltre Young, non deve essere paragonato al neurofeedback di EEG, una tecnica che prevede l’insegnamento delle persone a controllare le proprie onde cerebrali usando una macchina EEG. EEG neurofeedback utilizza infatti, a differenza del neurofeedback di fMRI, elettrodi disposti sulla testa per ottenere un’approssimazione dell’attività elettrica del cervello in determinate bande.

“Attraverso questa nuova tecnica possiamo arrivare a strutture cerebrali profonde come l’amigdala alle quali il neurofeedback di EEG semplicemente non riesce ad arrivare“, dice ancora Young.

Nel futuro

Il prossimo passo di Young sarà quello di individuare come trasferire ciò che la sua squadra sta imparando dagli studi di fMRI in un trattamento accessibile alle persone che ne hanno bisogno.

 

Fonte:

https://www.businessinsider.com/non-invasive-technique-depression-fmri-neurofeedback-2017-5#ZEIy2jWU4MyZZYvt.99