La nuova sfida della tecnologia: ‘leggere la mente’

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Quante volte abbiamo pensato a come sarebbe stato bello leggere nella mente della persona che avevamo davanti? Sembra che Mark Zuckenberg ed Elon Musk abbiano deciso di trasformare questi sogni in realtà.

Immaginate di poter “cliccare” semplicemente concentrandovi sull’icona che vorreste aprire o di ingrandire un immagine zoomando letteralmente a vostro piacimento, ossia inviando al computer l’input cerebrale di continuare ad ingrandire una foto.

Due recenti progetti: Neuralink, supportato da Elon Musk e CTR-Labs, controllata da Facebook, stanno lavorando a mettere a punto un metodo di lettura e decodifica degli impulsi neurali per controllare i computer senza l’intermediazione di nessun mezzo, quale touchscreen, tastiera o mouse. Una interazione del genere si confà al contemporaneo e frenetico mondo ma è una prospettiva da valutare accuratamente.

 

I risvolti etici del decodificare segnali corporei

La decodifica di un tipo di segnale corporeo è una realtà che, in sé e per sé, non implica una connotazione etica negativa. Ne sono un esempio le più avanzate protesi che permettono alle persone di muovere un braccio artificiale semplicemente col pensiero grazie a speciali sistemi in grado di interpretare la scarica elettrica del muscolo per compiere prese di precisioni.

Diverso invece è il caso in cui una tecnica invasiva, come la lettura dell’attività cerebrale, si connette con un device esterno quale il computer. La protesi per un soggetto amputato è parte integrante della propria immagine corporea e dell’azione nel mondo, mentre il computer, per quanto possa essere diventato necessario nella quotidianità, resta un dispositivo esterno che l’essere umano utilizza in modo non pervasivo.

Non solo il posizionamento fisico del dispositivo tecnologico ma anche la diversa relazione entra in gioco in una valutazione etica su queste tecnologie. Se la protesi è un sistema di trasmissione del dato che si integra perfettamente con il controllo del soggetto, un computer è un oggetto terzo che supporta l’essere umano creando una relazione, che il filosofo americano Don Ihde definisce di “quasi-alterità”. Il computer, dunque, può essere funzionalmente paragonato al supporto e aiuto di un’altra persona in compiti specifici, come quello del calcolo oppure la ricerca di informazioni.

 

I problemi dietro la “lettura” digitale del pensiero

C’è pertanto un’enorme differenza tra la trasmissione di dati del cervello verso una protesi, rispetto a quella del cervello verso un computer. Se infatti la protesi è un pezzo di corpo che ci facilita nelle attività quotidiane, il computer è un entità esterna a noi che se da un lato ci può facilitare molte attività dall’altro ci può guidare e determinare.

Lasciare pertanto ad un computer l’accesso alla lettura dei nostri pensieri e delle nostre intenzioni significherebbe instaurare una relazione di quasi dipendenza dal computer che potrebbe determinare le nostre azioni e non più solo, come nel caso della protesi, assisterci.

Il rischio pertanto è la perdita di centralità dell’individuo all’interno del rapporto con le macchine. Questa criticità va quindi studiata e gestita senza tuttavia rifiutare a priori un’innovazione tecnologica che potrebbe rappresentare per molti un’opportunità per superare menomazioni fisiche e rientrare in piena relazione nel tessuto della società umana.

Siamo quindi proprio sicuri di voler anche solo immaginare una trasparenza totale nei confronti di una alterità, quale il computer?