Così riduciamo dell’80% le ospedalizzazioni per COVID-19

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Persone che prende farmaci
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Parla il dott. Fredy Suter, promotore – al ‘Mario Negri’ – di un promettente studio clinico sulle terapie domiciliari

Il recente studio condotto dall’Istituto Mario Negri suggerisce una via concreta per ridurre di circa l’80% le ospedalizzazioni (e prospettivamente anche i decessi) per Covid-19.

Nasce dall’intuizione  del dott. Fredy Suter, primario emerito del reparto di malattie infettive dell’ospedale di Bergamo, che grazie alla collaborazione con il prof. Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri, e con i ricercatori dell’Istituto, ha potuto realizzare uno studio retrospettivo su 90 pazienti.

Dott. Suter, che risultati avete ottenuto dal vostro studio?

I risultati hanno mostrato una riduzione di circa l’80% del tasso di ricovero nel gruppo di pazienti trattati con il nostro metodo rispetto al gruppo di pazienti curati con gli approcci standard. In pratica se mediamente con le terapie convenzionali sono stati ricoverati il 14,4% dei pazienti, con i nostri trattamenti ne abbiamo ricoverati solo il 2,2%. Più in generale c’è da considerare che la media degli ospedalizzati in Italia e all’estero è compresa tra l’8 e il 12%.

Va precisata una cosa: questo nostro studio è di tipo retrospettivo, l’ideale sarebbe stato uno studio prospettico, in doppio cieco. Dove cioè né il medico, né il paziente sanno a che trattamento lo si stia sottoponendo. Questo non è stato possibile e oggi, avendo acquisito che il nostro metodo è così vantaggioso, non mi sentirei di proporre nel gruppo di controllo una terapia che riteniamo a priori meno efficace. 

In cosa consiste la vostra proposta terapeutica?

Per comprendere il razionale della nostra terapia è utile considerare che il Covid-19 presenta due fasi distinte: una prima fase di natura “virale” in cui il virus replica attivamente e produce sintomi influenzali quali febbre, tosse, dolori muscolari e astenia. Nella seconda fase inveceil virus induce un’infiammazione che, in una minoranza dei pazienti, può diventare incontrollata e portare a gravi complicanze quali la polmonite, i trombi o danni a carico di cuore, reni e cervello.

Se nella prima fase della patologia ha senso utilizzare farmaci antivirali o anticorpi specifici (monoclonali o da plasma di pazienti immuni), nella seconda fase il trattamento logico deve essere rivolto a contrastare la flogosi, cioè l’infiammazione. 

A questo scopo i composti più utili sono gli antinfiammatori. 

Noi ci proponiamo infatti di controllare e prevenire la seconda fase della malattia, che poi è quella che causa i problemi più gravi.

Già un anno fa avevamo iniziato ad usare dei farmaci antinfiammatori comuni come l’Aulin, il Celebrex o la stessa Aspirina, nei casi più gravi il cortisone. 

Il nostro studio si è concentrato a valutare i benefici clinici di questa strategia terapeutica.

Fredy Suter – primario emerito del reparto di malattie infettive dell’ospedale di Bergamo

Come mai si parla solo oggi di queste terapie apparentemente così semplici?

Purtroppo all’inizio della pandemia i farmaci antinfiammatori non erano stati presi in considerazione e anzi erano stati sconsigliati da molti esperti per il rischio di peggiorare il decorso della malattia. 

Al contrario erano stati proposti una vigile attesa e l’impiego di antipiretici tipo Tachipirina, che è un farmaco essenzialmente sintomatico.

Questo approccio è stato scelto non solo in Italia ma anche in altri paesi occidentali nei quali si è data molta importanza alle terapie ospedaliere e meno a quelle domiciliari.

E’ però opportuno precisare che i nostri risultati non possono essere considerati definitivi ma necessitano di conferme ulteriori verificate da noi o meglio da altri ricercatori. Questo comunque non impedisce che i medici possano applicare la nostra proposta terapeutica. 

La speranza è che sempre più sanitari provino questo approccio e si convincano della sua efficacia. 

La proposta di Tachipirina e vigile attesa non è quindi mai stata supportata da studi scientifici?

Non mi pare, la Tachipirina è stata usata in modo empirico dall’inizio della pandemia ma non ci sono studi specifici. Come del resto non ci sono molti studi sulle strategie terapeutiche da impiegare a domicilio. 

Quali sono le indicazioni pratiche che emergono dal vostro studio?

E’ molto importante iniziare questi farmaci subito, al primo manifestarsi dei sintomi, senza aspettare il risultato del tampone. Nel momento in cui un paziente riferisce dei sintomi compatibili con quelli del covid-19 suggeriamo di iniziare farmaci come Aulin o Celebrex. Anche l’Aspirina e altri antinfiammatori comuni come Brufen od OKI per quanto meno specifici possono contribuire al controllo dell’infiammazione. 

Le dosi abituali per l’Aulin e il Celebrex sono di 200 mg al giorno, per l’Aspirina proponiamo dosi pari a 500 mg due volte al giorno.

La durata della terapia è consigliata di 10-12 giorni, perché entro questo periodo, di solito, si manifestano le complicanze polmonari. Quando i sintomi si protraggono oltre la prima settimana è utile eseguire esami ematochimici, incluso il D-dimero, ed eventualmente un Rx o un’ecografia del torace. In caso di riscontri patologici è consigliato l’impiego del cortisone ed eventualmente dell’eparina a prevenzione di eventi trombotici.  

Tengo a sottolineare che con questo approccio il Medico di famiglia ha un’ulteriore opportunità per seguire i pazienti a domicilio e valorizzare il proprio ruolo.

Come deve comportarsi un paziente covid a cui viene prescritta Tachipirina e vigile attesa?

Non sono in grado di dare indicazioni precise; noi proponiamo di cominciare il trattamento antinfiammatorio il più precocemente possibile. Non è certamente proponibile il fai da te, considerato che questi farmaci devono essere sempre proposti dal medico di famiglia controllando possibili controindicazioni o tossicità. 

Una volta chiariti questi punti penso che il paziente possa comportarsi nel modo che ritiene più opportuno. Magari può spiegare al medico che ci sono prospettive nuove. Il medico, se disponibile può approfondire, chiamare il Mario Negri e condividere il nostro approccio. 

Ci sono anche altri gruppi di medici che propongono terapie domiciliari, si tratta dello stesso approccio?

Non esattamente. Per esempio ci sono dei medici che oltre agli antinfiammatori usano anche l’idrossiclorochina all’esordio della malattia. Intorno a questo farmaco ci sono pareri contrastanti anche se i risultati clinici sono da molti considerati buoni. 

Noi non usiamo l’idrossiclorochina ma non è escluso che questo possa essere un farmaco interessante. 

Come già detto è fondamentale la tempistica di intervento e probabilmente già il fatto di prendersi in carico il paziente fin dall’esordio della malattia migliora la prognosi. 

Recentemente l’Ordine dei medici di Torino ha sconsigliato l’uso di cortisone sui pazienti covid, come valuta questa decisione?

Credo che il cortisone sia stato sconsigliato nelle fasi iniziali della malattia per il rischio di un effetto immunodepressivo che potrebbe favorire un’intensa replicazione virale. Non c’è dubbio che nelle fasi avanzate della malattia il cortisone sia considerato insostituibile.

Gli ambienti scientifici non sono necessariamente concordi circa i diversi approcci terapeutici. La scienza procede con proposte che vengono verificate nel tempo. E’ normale che ci sia un contraddittorio. Più in generale quello che si propone deve essere confermato da più studi solidi dal punto di vista scientifico; in assenza di questo è normale che ci siano pareri diversi. Senza contraddittorio i progressi sono limitati. 

In conclusione, cosa ritiene di dover dire a quei pazienti che si sentono disorientati dalle troppe informazioni contraddittorie fornite dagli esperti?

La maggior parte degli esperti che vediamo in televisione li conosco bene, ho lavorato con loro per anni. Rispetto tutti, le idee di tutti e anche chi dice cose che non condivido. Si può capire che di fronte a una pandemia e in presenza di un virus totalmente nuovo gli esperti non abbiamo opinioni univoche circa i comportamenti da tenere per contrastare la diffusione del virus e circa i trattamenti da proporre. 

E’ però vero che questa non chiarezza ha generato in molte persone stordimento e difficoltà a comprendere e a fidarsi. Se un esperto “pubblicamente” cambia rapidamente opinione può generare confusione nelle persone. Certo, è logico seguire l’evoluzione delle conoscenze sul virus ma è anche vero che socialmente i cambi di posizioni così repentini sono difficili da accettare. Io credo che tutti debbano essere più prudenti e mantenere uno stile sobrio e di cautela evitando di fare affermazioni troppo forti o polemiche. 

Non c’è invece discussione su alcuni interventi e in particolare tutti sono d’accordo che la vaccinazione è il rimedio più utile per controllare la diffusione del virus; per questo “negazionisti” e “novax” dovrebbero essere banditi da qualsiasi discussione scientifica, peggio se sono medici. Parallelamente è importante accettare nuove strategie di cura. La nostra proposta riduce sensibilmente i ricoveri e questo significa contenere la pressione sugli ospedali, limitare i costi e alleviare l’ansia diffusa delle persone.  

Studio clinico

A Simple, Home-Therapy Algorithm to Prevent Hospitalization for COVID-19 Patients: A Retrospective Observational Matched-Cohort Study (https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2021.03.25.21254296v2)

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Laureato in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche (Università degli Studi di Milano) e dottorando presso l'Università Campus Bio-Medico di Roma. E' membro del Systems Biology Group Lab presso l'Università Sapienza di Roma e managing editor della rivista scientifica Organisms Journal. E' giornalista e svolge l'attività di divulgatore scientifico