Giuseppe Paolo Angelo Gola, il 9 Agosto 1810, discuteva di cefalee durante la sua discussione di laurea in Medicina. È interessante notare come, nonostante i due secoli trascorsi, le cure siano sempre le stesse.
«La definisce comunque una patologia in sé, sebbene compaia fra i sintomi di molte altre malattie, o dell’intero sistema o delle singole parti collegate. Né è possibile trovare chi non la sperimenti almeno una volta senza distinzione di stili di vita, di sesso, d’età, di clima, di periodo dell’anno, sì che non offre alcuna di queste vie di discriminazione, ma giusto di elucubrazione». Con queste considerazioni iniziava, il 9 sestile (agosto) 1810 , alle 4 e mezza del pomeriggio, la discussione della tesi di laurea in Medicina, all’Imperiale Università di Torino, di Giuseppe Paolo Angelo Gola: argomento “De Cephalalgia”. Ne annota la maggior frequenza nel “sesso debole”, soprattutto quelle che vivono in città, anche per motivi molto lievi, salvo il caso intrinseco di “mestruazioni incombenti, quando ne soffrono doppiamente tutti”: ovvero anche i mariti?
Dopo 25 pagine di constatazioni altrettanto immutate in due secoli, le cure.
Dalla Medicina:
I – Non si conoscono rimedi per le cefalee.
II – Tuttavia talvolta dà sollievo al mal di testa l’arnica, la salvia e affini.
Dall’Igiene (di vita):
I – I patemi d’animo causano le cefalee, per cui bisogna combattere gli “assalti all’emotività”.
II – Il mal di testa nella maggior parte dei casi non offre alcun indizio esteriore del suo decorso, ma lo rivelano i lamenti. Nulla invero può più facilmente simulato.
Dalla Pratica (chirurgica):
I – Altra è la terapia della cefalea collegata al sangue, altra al siero;
II – Nel primo caso, s’inoculi in vena un lieve ematico, nell’altra sono soprattutto utili i vescicanti.
Ecco spiegato il titolo.
Sergio Angeletti
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