Un trattamento sperimentale della UCLA migliora del 300 per cento la presa e il movimento delle dita nei tetraplegici.
I medici del Ronald Reagan UCLA Medical Center hanno impiantato un particolare stimolatore spinale che sta dando ottimi risultati nel far recuperare forza e movimento alla mano di un ragazzo californiano che 5 anni fa, in seguito ad un brutto incidente in bicicletta, si ruppe il collo.
Brian Gomez, 28 anni, nel giugno 2016 è infatti diventato uno dei primi pazienti, in tutto il mondo, ad essersi sottoposto ad intervento chirurgico per l’innesto del dispositivo sperimentale.
Lo stimolatore spinale: come funziona?
Gli scienziati della UCLA hanno posizionato 32 elettrodi stimolanti sotto il punto in cui è presente la lesione del midollo spinale di Gomez, ovvero vicino alla vertebra C-5, nel bel mezzo del suo collo. Questa zona è quella che più comunemente viene associata alla tetraplegia, o perdita di funzionalità e di sensibilità in tutti e quattro gli arti.
«Il midollo spinale contiene delle vie alternative che si possono sfruttare per bypassare il danno e far comunicare il cervello con gli arti», ha spiegato Daniel Lu, M.D., professore associato di neurochirurgia e Direttore alla UCLA del Laboratorio di neuroplasticità e riparazione e del Centro per il recupero neuromotorio e riabilitazione. «La stimolazione elettrica addestra il midollo spinale a trovare e utilizzare questi percorsi alternativi».
Un approccio unico nel suo genere
Mentre altri dispositivi hanno recentemente mostrato risultati promettenti nel trattamento delle paralisi, coinvolgendo animali o l’utilizzo di bracci robotici, questo approccio si è rivelato essere unico nel suo genere; il dispositivo, infatti, viene impiantato nella colonna vertebrale invece che nel cervello, ed è progettato per aumentare le capacità del paziente di muovere in autonomia le proprie mani.
Oltre allo stimolatore, i medici hanno impiantato una piccola batteria e un’unità di elaborazione sotto la pelle della schiena del paziente. L’impianto, che è abbastanza piccolo da stare nel palmo di una mano, è accoppiato ad un comando a distanza che i pazienti e i medici usano per regolare la frequenza e l’intensità della stimolazione.
Recupero della mobilità del 300%
In passato, il team della UCLA aveva già eseguito, per la prima volta, interventi chirurgici di impianto di questo tipo su due pazienti con lesioni del midollo spinale cervicale. Lu e i suoi colleghi hanno assistito, in questi anni, ad un aumento della mobilità delle dita e della forza di presa pari fino al 300 per cento.
«Sta facendo una grande differenza per me», dichiara Gomez, che possiede una torrefazione nella sua città natale in California. «Utilizzo una macchina per la tostatura del caffè che riscalda fino a 450 gradi e, solo pochi mesi fa, sono riuscito a tirare una leva per svuotare la macchina dai chicchi dopo la tostatura» continua Gomez. «Ma dato che non avevo abbastanza forza nel braccio, mi sono bruciato», spiega indicando una cicatrice sul suo avambraccio. «Ora questo non accade più grazie alla forza destrezza che ho sviluppato».
I miglioramenti di Gomez sono particolarmente incoraggianti, soprattutto se si prende in considerazione il fatto che tra il suo infortunio e l’intervento sono trascorsi 5 anni. Nella prassi, infatti e in caso di paralisi, è necessario intervenire in modo tempestivo (pochi mesi) per iniziare il processo di riabilitazione utile a mantenere l’utilizzo almeno parziale delle mani. Sono quindi rari i miglioramenti significativi a distanza di un anno dall’incidente.
Tornare a vivere la propria quotidianità
L’obiettivo del team di UCLA non è quello di ripristinare completamente il funzionamento della mano, ma di migliorarlo per permettere ai pazienti di svolgere le più semplici attività di tutti i giorni.
Operazioni come allacciarsi le scarpe e lavarsi i denti. Oppure, nel caso di Brian Gomez, di reggere e sorseggiare una tazza di caffè appena tostato.
Fonte:
www.uclahealth.org
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Redazione
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