Complessità biologica ed Intelligenza Artificiale

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L’evento scientifico di maggiore rilievo di questi anni, che può apportare importanti ricadute anche sulla vita umana quotidiana, è l’integrazione tra scienze della vita e scienze computazionali. Come gestire questa nuova massa di dati biologici? Come estrarre da questi dati nuove conoscenze che permettano di risolvere patologie come il cancro e le malattie neurodegenerative?

L’evento scientifico di maggiore rilievo di questi anni, che può apportare, come vedremo, importanti ricadute anche sulla vita umana quotidiana, è l’integrazione tra scienze della vita e scienze computazionali, come sostiene ad esempio nei suoi recenti bestsellers Yuval Noah Harari.

La fase genomica precedente, oltre che decifrare la sequenza del genoma (nucleare) umano e di molte altre specie, ha indotto lo sviluppo di tutta una serie di tecnologie analitiche, che stanno consentendo di decifrare, a livello dei più importanti costituenti molecolari della cellula, i cambiamenti indotti dalle più diverse condizioni fisiologiche e patologiche.

Come gestire questa nuova massa di dati biologici? Come cercare di organizzarla? Come, soprattutto, estrarre da essa nuova conoscenza, che permetta di risolvere le sfide, ancora aperte, che patologie come il cancro e le malattie neurodegenerative, pongono alla nostra società? Senza dimenticare l’importante ruolo che i processi biologici possono svolgere nell’economia circolare e nella sostenibilità ambientale.

Quale ruolo per l’Intelligenza Artificiale nella complessità biologica?

Prima di tutto chiariamo un equivoco linguistico: “Artificial Intelligence” è veramente traducibile in italiano con “Intelligenza Artificiale”?

Come ricordano acutamente Edoardo Boncinelli ed Antonio Ereditato nel loro recente libro, “Intelligence” in inglese/americano è la raccolta di dati nello spionaggio, a cui seguono tentativi di strutturazione e di interpretazione non sempre di successo (si ricordi CIA: Central Intelligence Agency, con le sue vittorie e sconfitte) e “Artificial” vuol dire, servoassistita. Nel termine inglese non c’è quindi l’idea, che invece il termine in italiano suggerisce, che il supercomputer si mette a scrivere tragedie di Shakespeare, che l’autore non ha mai immaginato, o scopre nuove leggi della fisica, di impatto equivalente alla relatività di Einstein.

Fatta questa premessa, l’utilizzo degli algoritmi dell’Intelligenza Artificiale è molto interessante in quanto può portare ad identificare correlazioni tra set di dati, ad esempio: la presenza di un certo assortimento di mutazioni oncogeniche in un paziente può indicare che si ha una elevata probabilità statistica di ottenere una sua migliore sopravvivenza a seguito  del trattamento con certi specifici farmaci. Il che, allo stato attuale è il massimo che si possa ottenere. L’utilizzo di algoritmi può anche, ad esempio, indicare quali processi biochimici cellulari sono perturbati da una certa condizione patologica e anche a focalizzare quale processo cellulare è maggiormente rilevante. Dimentichiamo, quindi, ipotesi fantascientifiche per cui il supercomputer che ha accesso a petabytes di dati possa, schiacciando un bottone, fornirci le nuove leggi della vita, ma inseriamo il trattamento dei dati attraverso l’Intelligenza Artificiale nella logica del metodo sperimentale, cioè approcciamo i problemi attraverso la Systems Biology.

Questi temi verranno trattati nel prossimo workshop internazionale “Understanding Complexity in Life Sciences” che si terrà presso l’Università Milano-Bicocca il 14-15 febbraio 2019

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Lilia Alberghina

La professoressa Lilia Alberghina è il Direttore scientifico di SYSBIO-Centro di Systems Biology presso l'Università Milano-Bicocca. E' professore emerito in Biochimica presso l'Università Milano-Bicocca e membro dell'Accademia Nazionale delle Scienze (dei XL). E' inoltre autrice di circa trecento pubblicazioni nel campo della Biochimica e della Systems Biology