Il web può generare dipendenza come una droga, isolando i giovani dalla vita reale. Anche nella rete i pericoli sono dietro l’angolo per chi è emotivamente fragile.
Che si chiami Blue Whale o meno; che esista o non esista un “comandante occulto” che abbia dato vita ad un gioco strutturato che porta al suicidio, tra “mea culpa” per la mancanza delle necessarie verifiche da parte dell’autore del servizio andato in TV e le continue segnalazioni di genitori ed educatori; comunque sia, il fenomeno dei gruppi che istigano all’autolesionismo o al suicidio, i ragazzini è reale.
«Prove estreme di “iniziazione”, ai passaggi più duri della vita, determinate dalla mancanza di guide autorevoli, di opportuni e qualificati supporti; prove, perfino letali, di coraggio, per chi vuole sentirsi libero di odiare, di esprimere la propria rabbia perché si sente abbandonato, solo, indifeso, minacciato anche dai cambiamenti, fisici e psichici, che l’adolescenza determina». Così le ha definite Maria Rita Parsi, scrittrice, psicopedagogista, psicoterapeuta, membro dal 2013 al 2017 del Comitato Onu per diritti dei Fanciulli/e, denunciando la condizione di una generazione priva di orientamenti e indifesa davanti a strumenti virtuali che dovrebbero contribuire ad “aprirla” al mondo.
«Ed è, infatti, sempre più sul web che i ragazzi registrano le tante loro pericolose “prove di iniziazione”. Con lo smartphone, per poi mandarle in rete–spiega la professoressa Parsi-. Peraltro, l’uso corretto della tecnologia può essere ed è certamente un’ottima cosa. Ed anche una grande opportunità. Ma se utilizzata male, proprio dall’uso scorretto di quella tecnologia, ci si può aspettare il peggio per le nuove generazioni.
Infatti, il pericolo che si prospetta è grave. Anche perché la società va sempre più in direzione dell’utilizzo del virtuale i cui strumenti, oggi, diventano obsoleti in un batter d’occhio per via di sempre nuove scoperte e applicazioni.
L’uso del web e di quello che circola sul web va, pertanto, monitorato e regolamentato. Serve una capillare, diffusa responsabilità per i genitori e per gli educatori di informarsi in merito alle competenze e all’uso del virtuale, per equiparare le loro a quelle dei “nativi digitali”. Ci vogliono, poi, gli opportuni, necessari regolamenti, atti a gestire l’affollatissimo spazio del web.
Se, ad esempio, istigare al suicidio, utilizzando il web non è ancora motivo di penalizzazione, questo è grave. È grave l’istigazione al suicidio, alla pedofilia e alla pedopornografia, allo spogliarsi online, al gioco d’azzardo…Di quest’ultimo, poi, c’è una diffusione allarmante, unitamente al pericolo dei tanti incontri “sfortunati” che si possono fare in internet. Come dire: prima c’era un solo lupo cattivo per Cappuccetto Rosso. Oggi, i lupi cattivi sono due milioni- anzi di più!- per ogni Cappuccetto Rosso».
Perché alcuni giovani si sentono “attratti” dalla morte?
«Mi vengono subito in mente le scene di paure e morte dei giovani migranti che arrivano da noi su barconi destinati al naufragio. Quei ragazzi si misurano con la morte e con gli orrori quotidiani dell’essere sradicati, profughi, poveri perché la vita li costringe a iniziazioni, individuali o collettive, estreme. E, soprattutto, inevitabili. Però, molti di loro sono profondamente motivati a farcela e, perciò, lottano, con tutte le loro forze, per non soccombere. Respingono la morte per affermare il loro “diritto- desiderio” a poter vivere e a continuare a crescere. Il lottare e l’aver lottato per farcela; lo stress, la paura, la rabbia di queste drammatiche forme di “iniziazione”, vissute durante l’infanzia e l’adolescenza, segneranno, poi, lo sviluppo della loro vita adulta. Nel bene, rinforzandoli; nel male, favorendo violenza e depressione.
Certi nostri giovani, invece, la cui vita sembra essere certamente più facile e accompagnata da protezione, cure, presenze certe“iniziazioni” se le vanno “perfino” a cercare allorquando, per accettare la fine dell’infanzia ed elaborare il lutto dei distacchi e dei cambiamenti psicofisici che questa comporta e, ancora, per emanciparsi dalle dipendenze e dai condizionamenti dell’infanzia e della preadoelscenza, si sottopongono talvolta anche alle sfide di certe prove estreme che, pericolosamente e provocatoriamente, ricercano. Infatti, prima dei settant’anni di pace che ci sono stati nel nostro Paese (1946-2016) i giovani italiani, tra emigrazione, conquiste coloniali e guerre, trovavano una canalizzazione ed una compensazione alla loro angoscia di morte e alle sfide,anche estreme, della vita. Per misurarsi e trovare un coraggio di vivere che consentisse loro di superare la paura e di assicurarsi un futuro stabile e libero.
Oggi, invece e, poi, con la spettacolarizzazione e la virtualizzazione della morte molte di quelle sfide e molti di quei riti di passaggio necessari per crescere, sono diventate esperienze da agire e/o agite sul web».
Perché questa tendenza a condividere in rete un gesto così estremo come suicidarsi?
«Perché la rete è diventata un mondo “a parte” al quale “appartenere”. E, anzi, “l’altro mondo” che esiste “oltre” quello reale.
Inoltre, in rete, c’ è una costante spettacolarizzazione della morte che la rende, agli occhi sprovveduti e ipnotizzati, un atto estremo,provocatoriamente affascinante, se vissuto virtualmente ovvero ripetuto ed esibito senza la coscienza che esso comporta della fine materiale del corpo. Come dire: “Io morirò ma c’è il mondo virtuale dove esisterò per sempre”. Vero è, poi, che il passaggio dall’infanzia, alla preadolescenza all’adolescenza, si trasformano e/o muoiono tante illusioni, speranze, fantasie, garanzie. Si chiudono cicli di vita determinanti, in seguito, per lo sviluppo della vita adulta e, proprio al momento della loro chiusura,c’è sempre la possibilità che ci sia, da parte degli adolescenti, anche una voglia di andare via, “di finire”; la sensazione, invero, di non farcela e, soprattutto, di non voler combattere. Oppure, una voglia di aggredire il mondo, di lasciare traccia, morendo con provocatoria eclatanza, della rabbia che governa tante esperienze fondamentali del crescere e dei distacchi che sono proprie per i nostri ragazzi/e».
I suicidi sono in aumento? E qual è la responsabilità della società contemporanea?
«Io non credo che oggi ci siano più suicidi di un tempo. Vero è, però, che, nelle società moderne, esistono le statistiche e i media e c’è maggiore attenzione attorno ad ogni, più o meno, drammatico e/o interessante e/o speciale, fenomeno di costume. Vero è, poi, che abbondano, proprio sul web e/o, comunque, vengono ripetutamente e pubblicamente veicolati dai media, tradizionali e nuovi, modelli negativi, distruttivi e di morte che possono far pensare alla vita come ad un bene a cui si può facilmente rinunciare. O, comunque, che si può barattare, per la sfida o per la gloria, con un momento estremo di espressione del proprio odio estremo, della propria apparentemente inestinguibile, rabbia. O dell’odio nel confronto degli altri. Come dire: “Io morirò ma morirete tutti!”. E, ancora: “ Vogliamo essere liberi: liberi di odiare, soprattutto!”».
Che ne pensa del fenomeno Blue Whale?
«Sarò molto dura e spero che il messaggio arrivi. Che esista o meno, che funzioni o no questo gioco orrendo, il fatto che i ragazzini lo conoscano e diffusamente, ne parlino, la dice lunga sull’interesse che nei minori suscita l’idea dell’atto suicidario. Infatti, la possibilità che dei ragazzini e, ancor più, delle ragazzine ricerchino sul web “un tutor”, anzi, un “web killer” che li accompagni ad affrontare 50 orrende prove fino a quella di darsi la morte, segnala l’assenza di figure di riferimento, affettive ed educative,intorno a loro e il vuoto di valori e di riferimenti che mettono, al centro, la vita soprattutto quando si può condividerne con gli altri la Bellezza».
E cosa pensa della pedofilia sul web?
«La Polizia postale ha sbaragliato più e più siti di pedofilia e pedo-pornografia ed ha denunciato adulti che agganciavano bambini su Internet. Però, io dico che, sul web, la possibilità che tutto questo orrore, senza regole, deve essere totalmente inibita! Infatti, se, ancora oggi, dopo tante denunce, tutto questo ancora si verifica, vuol dire allora che, per guadagno, non c’è la volontà di fare piazza pulita. Non ci sono, forse, algoritmi capaci di individuare, eliminare, queste cose? Ad esempio: visto che stiamo parlando di questo Blue Whale, che hanno fatto, finora, i gestori e la Polizia Postale per individuare e debellare questo gioco? Quanto ci vuole a verificare se si tratta di una leggenda metropolitana o no? Il tempo,forse, di altri suicidi?
Se i gestori delle piattaforme web che si sono arricchiti in maniera a dir poco “straripante”, non hanno la dignità di preservare il futuro, le idee, l’anima e i pensieri dei ragazzini, sono criminali autentici. E questa è un’autentica vergogna!»
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) aveva dettato delle linee guida per i media su come trattare il tema dei suicidi, lei che consigli vorrebbe dare?
«Consiglierei agli operatori della comunicazione, di fare molta attenzione. I media hanno il dovere di informare. Ma debbono farlo con oculatezza psicologica, con cautela. Senza enfatizzare,, informando e formando, sia i genitori che gli educatori con l’aiuto di mediatori culturali, psicologi e le forze preposte all’ordine, come la Polizia Postale
Infatti, dare spazio sul web e/o sui media tradizionali, ad informazioni insistenti, dettagliate, allarmistiche sul suicidio, senza alcuna mediazione di figure adulte autorevoli e competenti, può sdoganare un desiderio di emulazione teso ad ottenere un’eclatanza patologica e malata da parte di tanti ragazzini, problematici e/o “a rischio” . Essi, infatti, possono individuare, in un gioco come questo, la possibilità di attirare l’attenzione agendo una distruttività della quale, con molta probabilità, neppure sospettano e/o misurano la letale gravità.
L’informazione e la formazione, allora, devono far leva su l’intelligenza e la voglia di sapere dei ragazzi, per motivarli positivamente a individuare, a monitorare ed affrontare i problemi, anziché fare esperienze e prove che potrebbero far loro del male.
E anzi, i media, con le loro indicazioni potrebbero anche favorire la possibilità di riflettere, ricevere sostegno, chiedere aiuto. Come dire: “Se ti è capitata questa cosa, devi agire in questo modo o rivolgerti….”»
Cosa possono fare i genitori per aiutare i giovani?
«Le due agenzie educative, la famiglia e la scuola, dovrebbero essere, anzitutto, preparate ad affrontare in modo competente il mondo virtuale . Ovvero “alfabetizzate virtualmente” a misura delle competenza virtuale idei loro figli e dei loro allievi. Infatti, i genitori e gli insegnanti debbono poter seguire quelli che sono gli sviluppi continui ed inarrestabili dell’interazione tra i loro figli e allievi e il mondo virtuale. E, anzitutto, devono poterlo fare i genitori. Esiste, infatti, un “gap generazionale” tra genitori e figli anche perché i millenians conoscono “la navigazione” virtuale sin da piccolissimi e sanno usare il web in modo egregio e assai più competente di come i loro genitori, nonni, educatori, sono in grado di fare. Vero è, poi, che esistono genitori espertissimi in tal senso che, però, sono soliti dare ai figli, soltanto l’esempio di una grande dipendenza dal web, proprio attraverso l’uso esasperato e disfunzionale che ne fanno.
E, anzi, sono proprio loro a rappresentare il primo vero ostacolo all’uso corretto e responsabile del mondo virtuale».
Nicola Cappello
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