Scoperti i meccanismi neurali alla base della maggiore o minore gravità della sindrome di Tourette: più grande è lo squilibrio fra l’attività delle regioni cerebrali coinvolte, più marcati sono i tic e gli altri sintomi secondo un modello che ricorda un tiro alla fune.
La ricerca è stata condotta da un gruppo di studiosi del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca, dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi, dell’IRCCS Ospedale San Raffaele ed è pubblicata sulla rivista scientifica European Journal of Neuroscience.
La sindrome di Gilles de la Tourette si manifesta attraverso la comparsa di tic motori, vocali e complessi. Con grande sforzo da parte del paziente è possibile sopprimere questi tic ma solo temporaneamente e la loro soppressione è spesso seguita da un’esplosione incontrollata. Nei casi gravi, questi fenomeni indipendenti dalla volontà del paziente possono sfociare in comportamenti ritenuti socialmente inaccettabili – come parolacce e insulti – e i movimenti incontrollati del capo possono causare lesioni cervicali. Come ricordano il dottor Mauro Porta e il dottor Domenico Servello, rispettivamente neurologo e neurochirurgo dell’IRCCS Galeazzi, che hanno selezionato i pazienti, «la malattia si manifesta solitamente nella tarda infanzia o all’inizio dell’adolescenza e può permanere in età adulta. I tic, inoltre, rappresentano solo una parte dei sintomi della sindrome di Tourette che spesso convive con il disturbo ossessivo-compulsivo».
Il meccanismo di “tiro alla fune” identificato dagli studiosi individua uno squilibrio nella connettività fra varie aree del cervello che è direttamente proporzionale alla gravità dei sintomi misurata con la Scala della gravità dei tic di Yale (YGTSS, Yale Global Tic Severity Scale). Maggiore è la gravità della sindrome, più forte è questo sbilanciamento: la prevalenza di connessioni fra le aree premotorie e la corteccia motoria primaria risulta associata ad una minore gravità del disturbo; viceversa, la prevalenza di connessioni fra le strutture sottocorticali e la corteccia motoria primaria è legata ad una maggiore gravità dei sintomi motori della sindrome e quindi dei tic.
Il grado di attivazione delle varie regioni del cervello è stato rilevato mediante l’uso della risonanza magnetica funzionale (fMRI, functional Magnetic Resonance Imaging) e grazie alla procedura di modellizzazione dei rapporti dinamici causali tra aree cerebrali (DCM, Dynamic Causal Modelling), uno strumento di indagine molto avanzato che permette di capire non solo se due regioni del cervello lavorano contemporaneamente, ma anche i rapporti di causa ed effetto che legano la loro attività.
Oltre ad uno sbilanciamento cortico-sottocorticale, i ricercatori hanno osservato un aumento della “connettività intrinseca” della rete premotoria, ovvero il livello di base del rapporto funzionale tra le aree, rapporto che si normalizza durante l’esecuzione di movimenti volontari.
«È importante notare che i casi studiati sono caratterizzati dal perdurare della sindrome in età adulta – osserva Laura Zapparoli, ricercatrice all’IRCCS Galeazzi – e che alcuni di essi erano candidati al trattamento con la tecnica della Deep Brain Stimulation. Restano da capire le basi dei sintomi ossessivo-compulsivi di questi pazienti, argomento che ci ripromettiamo di indagare con future ricerche».
«Uno dei problemi nei casi gravi di sindrome di Tourette è trovare un indicatore fisiologico che possa permettere di predire la risposta ai farmaci – spiega il professor Eraldo Paulesu, docente di Psicologia fisiologica all’Università di Milano-Bicocca – e nei casi ancor più gravi la risposta al trattamento neurochirurgico con Deep Brain Stimulation. L’indice di discrepanza della connettività nel circuito motorio che abbiamo individuato potrebbe essere appunto questo biomarker».
Redazione
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