Una riflessione del professor Sergio Angeletti sulle cefalee e l’evoluzione umana.
Per accorgersi di essere temporaneamente incapaci di pensare, bisogna prima essersi accorti d’essere capaci di pensare: l’insorgente incapacità di fare come prova dell’attitudine a saper fare: “Cogito, ergo sum”, ma con la cefalea difficilmente riesco a cogitare, anche se resto egualmente (e spiacevolmente) ancor più cosciente d’esserci.
Se tutta questa elucubrazione non vi ha fatto ancora venire il mal di testa, sta almeno servendo per arrivare a dare pregio evolutivo alle cefalee nella civiltà umana. Ragioniamo. Le cefalee che arrivano/se ne vanno col week end, col riverbero del sole sui muri e l’asfalto delle città, ma non sulla sabbia o sui ghiacciai (a seconda dei gusti), con l’innamoramento e la fine di esso, con la fame o con l’indigestione: gli esempi sono altrettanti che le occasioni della vita.
Le emicranie, le cefalee ci accompagnano con tanta sistematicità lungo il corso della nostra esperienza personale e dell’evoluzione umana, da poterne parere un elemento doloroso sì, ma portante: nei limiti costitutivo, se non costruttivo, sicuramente selettivo. Perché i cefalalgici hanno già in sé questo ostacolo che li costringe più acutamente a doversi superare superandolo, o inequivocabilmente scoprirsene incapaci. In questa precisa prospettiva psicobiologica, l’essenza cefalalgica può costituire un ottimo sistema di valutazione e di autovalutazione.
Sergio Angeletti
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