Piacerebbe che dai nostri crani venisse definitivamente dato l’ostracismo al mal di testa, ma ci sono delle difficoltà, non tanto cliniche, quanto semantiche, insormontabili.
“Ostracismo” è il bando dato a democratico “furor di popolo” a qualcuno, quando gli Ateniesi DOC ne graffivano il nome su un coccio rotto raccattato all’uopo, consegnandolo poi nell’agorà. (Per inciso: un linciaggio solo sociale, molto più civile della lapidazione semitica). Per capire che ci “accozza” il mal di testa coll’ostracismo, ci vogliono appunto le cozze, le ostriche e le testuggini.
Antiche cure per le cefalee? No: ancor attuali parole imparentate.
La “capoccia” altro non sarebbe che la “coccia-coccio del capo-testa”, ma la “testa” è a propria volta il “guscio”, la “conchiglia”, il “vaso” in cui è contenuto il cervello, e le sue cefalee: “testuggine” è “capoccetta”/”coperchio”; “conchiglia” è “piccola conca”: il riparatore di vasellami urlava per le vie di Roma «Concolinaro, donne!» e ancora si canta «a Marechiaro ce sta ‘na fenesta» dove «’nu carofano addora int’a ‘na testa», ovvero “dentro un vaso di coccio”, e lì sotto, sugli scogli, attecchiscono le “cozze”, cioè le “cocce”, e, più giù, le ostriche, “cocciute” anche loro come il materiale “testaceo” (chiedere agli archeologi:…il “Testaccio” a Roma) che s’usava per gli ostracismi.
Forse, a questo punto, il mal di testa l’abbiam fatto arrivare, ma adesso si sa di poter dire “ho il mal di conchiglia”.

Sergio Angeletti

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