Ecco come tech e digital ci stanno rendendo più soli

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Il governo inglese ha recentemente istituito la carica di Ministro della Solitudine. La mossa arriva in risposta alle preoccupazioni in merito ai dilaganti livelli di solitudine nella società occidentale.

Gli psicologi definiscono la solitudine come un’esperienza soggettiva spiacevole che avviene quando il bisogno e il desiderio di significativi contatti sociali non trovano riscontro con la realtà. I bambini ne parlano invece come di una condizione oggettiva di cui altri sono responsabili.

Ti senti solo? Parla con un robot

Si stima che in UK la condizione di solitudine sia vissuta da più di un terzo delle persone che hanno superato i 50 anni e negli Stati Uniti da un quinto della popolazione generale.

Funzionari pubblici inglesi hanno suggerito che gli assistenti digitali, come Alexa di Amazon o Siri di Apple possano rappresentare valide compagnie per gli anziani e gli adulti che vivono in solitudine.

Non è la prima volta che si guarda all’intelligenza artificiale come a un’alternativa alla compagnia umana e le persone anziane sono state spesso l’obiettivo di queste innovazioni.

Pochi anni fa un robot chiamato Paro è stato salutato come la soluzione alla solitudine. Il robot, bianco, dallo sguardo tenero e muto, è stato usato nelle case di cura dal 2003 ed ha dimostrato di riuscire a migliorare l’ambiente di cura e ridurre i sentimenti di solitudine dei residenti.

Non è difficile immaginare come Alexa e Siri possano rappresentare una compagnia migliore. Per lo meno possono parlare.

Al di la di questi casi però, purtroppo la tecnologia è stata in gran parte inefficace nel soddisfare i bisogni di coloro che si sentono soli; anzi potrebbe più che altro contribuire ad aggravare il problema.

Quando ci sentiamo soli desideriamo una connessione. Eppure il nostro bisogno di una società più connessa sembra andare a scontrarsi con un’ideologia in cui è presente una crescente spinta verso l’efficienza e la massimizzazione del profitto sia nel settore privato che in quello pubblico.

Ciò ha portato a un numero sempre maggiore di aspetti della nostra vita a diventare digitali di default, e successivamente ha ridotto le nostre opportunità di contatto sociale quotidiano.

Di per sé non si tratta di nulla di nuovo ma oggi tutto il processo si sta accelerando. È iniziato con le banche che sostituivano i cassieri con gli sportelli automatici. Ora, la maggior parte dei supermercati dispone di casse automatiche e probabilmente ci dirigeremo verso supermercati interamente automatizzati, Amazon sta aprendo la strada con il suo supermercato senza casse.

Siamo diventati una società a portata di click?

Sempre più spesso, il rapporto fisico viene sostituito dal digitale, che sta cambiando radicalmente le nostre esperienze quotidiane e, a sua volta, riducendo le nostre opportunità di connessione.

Fatalmente, le opportunità presentate da tali innovazioni tecnologiche spingono verso un maggior isolamento di coloro che hanno più bisogno di contatto umano.

Ad esempio, l’Istituto Nazionale per l’Eccellenza della Salute e della Cura (NICE) del Regno Unito ha approvato l‘uso della terapia cognitivo-comportamentale online (CBT) per coloro che soffrono di depressione e disturbo d’ansia generalizzato.

Se per un primo periodo è stato riconosciuto che le persone possono trovare più facile aprirsi a una macchina, tuttavia nel medio termine questo approccio lascia alle persone la sensazione di essere affidate alle cure di un’app durante un periodo in cui hanno più bisogno del contatto umano.

Legami deboli

All’aumento della tecnologia nella società si è sempre associata la paura della disoccupazione, ma oggi ci si sta accorgendo che il rischio più grande sta nella sottrazione di connettività umana. In mondo completamente automatizzato, come ad esempio i futuri veicoli senza conducente, perderemo quelle brevi chiacchiere quotidiane tra tassista e passeggero ad esempio che, sebbene definiti “legami deboli” è  dimostrato possano fornire un supporto importante, in particolare per chi è a rischio di isolamento sociale.

Ma le tecnologie digitali potrebbero anche darci l’opportunità di connetterci in modi nuovi ed entusiasmanti. Ad esempio, i social media ci danno l’opportunità di connetterci con altre persone quando lo desideriamo.

A Natale, Sarah Millican, un comico britannico, ha usato Twitter per mettere in collegamento persone che si sentivano sole, usando l’hashtag #joinin. Ciò ha dato alle persone l’opportunità di sentirsi inclusi durante un periodo che può essere particolarmente isolante.

Il sociologo Barry Wellman ha affermato che le persone non sono attaccate di per sé alla tecnologia, ma sono legate l’una all’altra. E sostiene che dobbiamo esplorare nuovi modi in cui possiamo sviluppare relazioni sociali così da contro bilanciare il veloce sviluppo tecnologico.

Radici forti

Rimane però una ragione di speranza. Ancor più, rimane una speranza nelle ragioni che sempre hanno alimentato lo sviluppo delle vere culture e delle società più feconde. Essa si rinviene nella matrice di ogni cultura, la capacità di ‘lasciare traccia’. E la traccia più tipica dell’uomo è quella di saper fare casa, di creare luoghi dove le persone si possano trovare e possano ri-trovare se stesse. La vera ‘cura’ (in inglese ‘care’) rimane e rimarrà una frontiera insuperata per i robot: solo dall’essere umano continueremo a cercare le attenzioni di cura più tipiche dell’umano e per l’umano. Forse rimarranno una fortuna di pochi. Molti altri preferiranno lasciarsi ingannare dalle macchine su questo fronte. Ma quei pochi avranno molti motivi per sentirsi privilegiati.

La cura rimane la frontiera della gratuità, non la si può comprare e non ha prezzo, ma vale più di ogni altra cosa essendo frutto della capacità dell’uomo di occupare spazi di libertà e di condividerli, di amare e, cosa ancor più difficile ai nostri giorni, di lasciarsi amare, una sapienza che difficilmente apprenderemo dalle macchine. I robot? Collaboratori efficienti. Questo si. Con l’auspicio che la loro presenza moltiplichi e non riduca gli spazi di condivisione tra umani. Su questo tema vedi anche: https://www.marcovigorelli.org/prospettive-umane-dellindustria-4-0/

Fonti:

https://www.gov.uk/government/news/pm-commits-to-government-wide-drive-to-tackle-loneliness

https://link.springer.com/article/10.1007%2Fs00127-017-1392-y

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28528389

http://www.telegraph.co.uk/news/2018/01/06/digital-assistants-could-alleviate-loneliness-elderly/

http://www.jamda.com/article/S1525-8610(10)00347-6/abstract

http://www.jamda.com

http://www.parorobots.com

http://www.jamda.com/article/S1525-8610(13)00097-2/fulltext

http://www.bbc.com/news/business-42769096

https://www.nhs.uk/Conditions/online-mental-health-services/Pages/introduction.aspx

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0747563214002647

http://journals.sagepub.com/doi/10.1177/0002764204270280

http://www.bbc.com/news/world-us-canada-42170100

https://implementationscience.biomedcentral.com/articles/10.1186/1748-5908-9-19

http://networked.pewinternet.org/2012/05/24/networked-individualism-what-in-the-world-is-that-2/

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Marta Bertolaso

Marta Bertolaso è Professore Associato di Filosofia della Scienza presso la Facoltà di Ingegneria e l'Istituto di Filosofia dell'Agire Scientifico e Tecnologico dell'Università Campus Bio-medico di Roma. I suoi progetti di ricerca si concentrano sulle attuali sfide epistemologiche e filosofiche nell'ambito della biologia, della bio-medicina, della medicina in silico e dei processi di modellizzazione e validazione mediante le nuove tecnologie applicate al vivente. È stata docente di filosofia della scienza e di bioetica in diverse università italiane, nonché a Monaco e a St. Louis (USA). Tra le sue ultime pubblicazioni, Philosophy of Cancer – A Dynamic and Relational View. Springer Series in “History, Philosophy & Theory of the Life Sciences”, 2016, e The Future of Scientific Practice: ‘Bio-Techno-Logos’, Pickering & Chatto Publishers, London, 2015.